Nonostante sia passato un po’ di tempo, ancora non mi sono ripresa dalla notizia della scomparsa di Alan Rickman, attore brillante che è entrato nel nostro immaginario (e nel nostro cuore) grazie a ruoli cinematografici dal profondissimo spessore, arricchiti dalla sua espressività e proprietà recitativa. La fama internazionale è arrivata indubbiamente con lo sceriffo di Nottingham in Robin Hood – Principe dei ladri, e consacrata per sempre grazie al Professor Piton di Harry Potter, ma Rickman ha una lunga carriera, teatrale e cinematografica, in cui non si è risparmiato, dai ruoli drammatici a quelli comici, arricchendo con la sua sensibilità ogni personaggio che ha affrontato (per ripassare il suo curriculum attoriale, leggi qui).

Pochi sanno che Alan Rickman ha avuto anche una carriera da regista, sia teatrale che cinematografica, anche se per il secondo caso le sue produzioni contano solo due film. E’ proprio dell’ultima pellicola che ha diretto, A little chaos, che vi voglio parlare oggi.
Uscito in Italia con il titolo “Le regole del caos” nel 2015, Rickman figura anche come interprete, rivestendo il prestigioso seppur secondario ruolo di Luigi XIV, a fianco di una sempre meravigliosa Kate Winslet come protagonista, accompagnata da Matthias Schoenaerts.

Il registro è quello della commedia romantica, anche se nel tessuto leggero della trama non mancano preziosismi di carattere drammatico. La storia, ambientata nella Francia del XVII secolo, riguarda una donna assunta come paesaggista per curare una sezione del nascente parco della Reggia di Versailles, futura residenza del Re e di tutta la Corte di Francia.
Sabine de Barra viene chiamata a lavorare ai giardini della reggia dal maestro giardiniere André La Notre, affascinato dal talento artistico autonomo e indipendente della donna, che porta in sé tutti quei valori di fiera autenticità che la vita di corte non prevede, e che, anzi, cancella sistematicamente. La costruzione del “giardino del re” quindi, con il suo coinvolgimento a stretto contatto con la terra, il lavoro manuale, la cura e la bellezza della natura (composta anche dalla sua furia), si contrappone dunque alla dimensione falsa e gretta della corte reale, placido lago dalle acque stagnanti, da cui lo stesso re Sole, di tanto in tanto, deve fuggire per rigenerarsi.

Kate Winslet incarna una donna piena di determinazione, impeto e purezza, seppur tormentata da un evento tragico che ha vissuto nel suo passato. Schoenaerts le fa da contrappunto (caratterizzato, forse, da un troppo tiepido temperamento), intessendo con lei un rapporto prima professionale e poi sentimentale.
E’ lei, una donna in un mondo di uomini, il “piccolo caos” che stravolge l’ordine del giardino di Versailles, la vita di coloro che la incontrano, la corte di Francia e il film. Ma c’è un “piccolo caos-nel-caos” che deve accadere, perché la trama del film e il percorso della protagonista si svolgano fino alla fine. A tre quarti della storia, un piccolo contro-movimento di sceneggiatura si incunea nell’avanzata di Sabine verso la conquista della corte, all’interno della quale altre donne (proprio quelle donne di cui lei è il glorioso opposto) le ricorderanno quel che di femminile aveva perso: il contatto con la propria memoria e con l’emotività congelata nella rimozione di un trauma doloroso. Sarà una piccola stanza di palazzo, “cuore nel cuore” della corte di Francia, il luogo nel quale la donna Sabine riscoprirà la grande forza della fragilità esposta delle donne, unica strada per “adattarsi” alla vita senza soccombere.

L’opposizione Natura/Società è un’argomentazione storica a cui si sono rifatte tutte le filosofie occidentali, e continua ad avere un fascino indiscutibile anche oggi.
Ha un certo senso innestare una storia del genere nel periodo seicentesco, nel cuore della corte francese che, come uno dei centri di potere più importanti del mondo di allora, era dominata da regole sociali e economiche che contribuivano all’allontanamento dei membri dell’alta società dai valori della vita reale, legati alla dimensione sensoriale e dei bisogni naturali – fossero dell’individuo o del proprio giardino, facendo apparire di certo bizzarre tutte quelle figure che vivevano secondo le regole naturali, legate ai cicli della natura e delle stagioni.

La storia che “A little chaos” racconta non ha nulla di reale: la Francia del 1600 non avrebbe potuto includere una figura come Sabine, troppo anticonvenzionale rispetto alla società della cultura francese rinascimentale (soprattutto in una storia che si svolge a corte!). La sceneggiatrice, un’inedita Alison Deegan, ha fatto delle scelte molto forti, innestando un personaggio moderno dentro una cornice storica ben definita. A Rickman è piaciuto proprio questo cortocircuito:
“But there was something unmistakable about the dialogue and the fact she’d created a leading female character who couldn’t possibly have existed then — it’s a complete fantasy. But that’s what the movies can do, you can take a period of history that’s incredibly male dominated and you can inject into it a very modern independent woman and make a point about feminism through a prism of history. So if anyone says the story’s implausible, you just say: Well, yes.”

La bizzarria compositiva non si rivela solo dalla trama. La Francia di Rickman è 100% inglese, poiché tutte le riprese si sono svolte in territorio britannico. La corte del re Sole è piuttosto anglofona, e qui approfitto per ricordare anche il contributo di Stanley Tucci, brillante come al solito, nei panni di Filippo I Duca D’Orleans. Ma se non può il cinema rendere omogenee certe commistioni, da quelle storiche a quelle geografiche, e farle diventare tutte un grande banchetto dell’immaginario, quale altro strumento può riuscirci?