“Il symbolon, da symballein, riunire, mettere insieme, avvicinare, designava all’origine una tessera di ospitalità, un frammento di una coppa o di una ciotola che due ospiti spezzavano trasmettendone poi i pezzi ai loro figli perché essi potessero un giorno ritrovare le stesse relazioni di fiducia ricomponendo i bordi dei due frammenti. Era un segno di riconoscimento, destinato a riparare una separazione o superare una distanza. Il simbolo è un oggetto di convenzione che ha come ragion d’essere l’accordo degli spiriti e la riunione dei soggetti. Più che una cosa, è un’operazione e una cerimonia: non quella degli addii, ma quella delle ricongiunzioni. Simbolico e fraterno sono sinonimi: non si fraternizza senza qualcosa da condividere, non si simbolizza senza unire quel che era estraneo. L’antonimo esatto del simbolo, in greco, è il diavolo: colui che separa. Dia-bolico è tutto ciò che divide, Sim-bolico tutto ciò che avvicina.”
R. Debray, Vita e morte dell’immagine. Storia di uno sguardo in occidente.
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